Decreto bollette del governo: 33 miliardi sprecati senza autonomia energetica

Decreto bollette del governo

Il Decreto bollette del governo Meloni, recentemente approvato, rappresenta l’ennesimo tentativo di tamponare un’emergenza senza risolverne le cause profonde. Con un costo di circa 3 miliardi di euro per i contribuenti italiani, il decreto ha finito per scontentare tutti: famiglie e imprese, escluse o parzialmente sostenute.

Già durante il governo Draghi, nel biennio 2021-22, si era ricorsi a massicci sussidi per contrastare l’impennata dei prezzi energetici causata dalla guerra tra Russia e Ucraina. In quella fase furono spesi circa 30 miliardi di euro. Sommando gli ulteriori 3 miliardi previsti ora, si arriva a un totale impressionante: 33 miliardi bruciati in appena tre anni.

Dove sono finiti i soldi del decreto bollette?

È presto detto: direttamente nelle casse dei produttori esteri di energia, primo fra tutti il Cremlino. Nulla di queste ingenti somme è rimasto nell’economia italiana, se non sotto forma di debito pubblico. Non si è investito in infrastrutture, non si è pianificata una vera indipendenza energetica. Si è semplicemente continuato a pagare bollette salatissime.

Un’alternativa possibile: il nucleare

Se quei 33 miliardi fossero stati impiegati diversamente, l’Italia avrebbe potuto iniziare un percorso verso l’autosufficienza energetica. L’unica strada realmente percorribile? La costruzione di centrali nucleari di nuova generazione, ipotesi di lavoro cui sta concretamente lavorando la Germania.

Un investimento di tale portata avrebbe posto le basi per ridurre la dipendenza energetica dall’estero, un problema che affligge il nostro Paese sin dagli anni ’70, ai tempi delle prime crisi petrolifere e dell’OPEC.

Mezzo secolo dopo, mentre altri Paesi occidentali si sono attrezzati, l’Italia è rimasta ancorata alla dipendenza energetica, frenata da due referendum contro il nucleare e da scelte politiche più ideologiche che strategiche.

Il peso dell’import energetico

Nel 2024, gas e petrolio hanno rappresentato le voci principali dell’import italiano, con una spesa totale di 61 miliardi di euro, pari a oltre il 10% dell’import complessivo. Questo dato dimostra come la dipendenza energetica sia un fardello pesantissimo per la nostra economia.

Se fossimo capaci di produrre autonomamente anche solo una parte dell’energia necessaria, il nostro PIL crescerebbe proporzionalmente alla riduzione dell’import. In più, costruire centrali nucleari avrebbe un effetto moltiplicatore positivo: creerebbe occupazione, stimolerebbe la ricerca tecnologica, e darebbe a famiglie e imprese energia più economica e affidabile.

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Una scelta solo politica

Oggi il no al nucleare appare sempre più come una scelta politica, scollegata da analisi economiche razionali. Ignorare la possibilità di dotarsi di centrali di ultima generazione significa condannarsi a una dipendenza eterna dai mercati esteri, accettando costi elevati e imprevedibilità geopolitiche.

Conclusioni: una decisione da riconsiderare

Il Decreto bollette governo Meloni, pur nella sua urgenza, non risolve nulla. Non fa che rimandare un problema strutturale che pesa sull’Italia da decenni. Investire oggi nel nucleare significherebbe cambiare finalmente rotta, smettere di inseguire le emergenze e cominciare a costruire un futuro energetico più sicuro e indipendente.

La questione energetica deve uscire dalla palude delle contrapposizioni ideologiche e diventare una vera priorità nazionale. Solo così potremo trasformare i 33 miliardi di spese a perdere in un investimento strategico per le prossime generazioni.

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