Introduzione
La crisi delle carceri italiane non è solo un’emergenza umanitaria, ma una ferita aperta nel sistema democratico del Paese. Sovraffollamento, carenza cronica di personale, condizioni di vita degradanti, tensioni crescenti e, purtroppo, un numero sempre più alto di suicidi, sia tra i detenuti che tra gli agenti. In una recente e intensa intervista trasmessa da Sulmona, Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA Polizia Penitenziaria, ha dipinto un quadro impietoso ma necessario da conoscere. Una realtà che riguarda anche il nostro territorio, con il carcere di Sulmona al centro di nuove sfide strutturali e umane.
La fotografia di un sistema al limite
Oltre 62.000 detenuti a fronte di poco meno di 47.000 posti disponibili. Il dato, da solo, basterebbe a rappresentare la gravità della situazione. Ma De Fazio va oltre. “Non è solo una questione di metri quadri”, afferma. “Un carcere progettato per 300 detenuti non può ospitarne 700 senza collassare nei servizi essenziali”. L’emergenza è strutturale: i servizi igienici, l’elettricità, le cucine, tutto è proporzionato alla capienza originaria.
Il paragone con il mondo esterno è calzante: “Se un teatro supera il numero di spettatori previsti, viene multato. In carcere, invece, lo Stato stesso viola le sue leggi.”

Il paradosso della legalità violata
Secondo De Fazio, il vero paradosso è che lo Stato, che incarcera chi viola la legge, non riesce a rispettare le proprie norme. Questa illegalità sistemica si ripercuote su tutti: detenuti, agenti, civili. Il carcere, che dovrebbe tendere alla rieducazione, diventa luogo di annichilimento e sofferenza. L’articolo 27 della Costituzione, che definisce la pena come mezzo di rieducazione, resta lettera morta.
Il personale allo stremo
A fronte della crescita dei detenuti, si registra un buco di 18.000 agenti rispetto al fabbisogno reale. L’unico aumento numerico registrato nel 2024? Solo 133 agenti in più. Una cifra irrisoria, soprattutto se paragonata agli 800 agenti aggiunti agli uffici centrali del Dipartimento a Roma, lontano dai veri fronti della crisi.
La tensione è altissima, confermata dal numero record di suicidi: 90 tra i detenuti nel 2023, già 28 nel 2024, con sette suicidi tra il personale penitenziario solo lo scorso anno.
Le soluzioni mancate e le contraddizioni del governo
La linea politica è quella del pugno duro, con l’introduzione di nuovi reati come quello di “rivolta”. Ma, sottolinea De Fazio, è una misura inefficace: “Si punisce, ma non si previene. E non c’è un ordine da ripristinare, se l’ordine legale non esiste.”
Il nuovo padiglione del carcere di Sulmona, con 200 posti, rappresenta un piccolo passo, ma “ogni mese il sistema registra 200 nuovi ingressi: a marzo si è riempito, e ad aprile siamo punto e a capo.”

Il nodo locale: Sulmona e il ruolo delle istituzioni
Il carcere di Sulmona è uno dei più complessi d’Italia, ospitando detenuti in regime di alta sicurezza. Secondo De Fazio, anche l’amministrazione comunale può e deve fare la sua parte: visitare il carcere, monitorare le condizioni, fornire supporto alle famiglie e agli operatori.
Con le elezioni imminenti, il tema dovrebbe rientrare nel dibattito pubblico. “Il sindaco ha accesso diretto alla struttura e può portare attenzione e servizi”, dice De Fazio. “Non bisogna ricordarsi del carcere solo quando ci si finisce dentro.”

Quali soluzioni possibili?
Se potesse legiferare, De Fazio indicherebbe tre priorità:
- Deflazionare subito il sistema penitenziario con misure straordinarie, anche impopolari come la liberazione anticipata.
- Reingegnerizzare l’intero sistema carcerario, partendo dalla dignità degli spazi e dalla formazione del personale.
- Assumere operatori e agenti, ripristinando gli organici reali e non gonfiando i numeri con ruoli d’ufficio.
La proposta della liberazione anticipata speciale rappresenta, per il sindacalista, l’unica via concreta per dare respiro al sistema.
Conclusione
“Farebbero meglio le leggi – dice De Fazio – se prima passassero quindici giorni in carcere”. Un’esortazione provocatoria, ma che contiene una verità profonda: la politica non può governare il carcere senza comprenderlo. Né può continuare ad agire solo con l’occhio al consenso, ignorando la realtà umana e sociale che si consuma dietro le sbarre.
Il carcere è parte viva del territorio. Anche di Sulmona. Ignorarlo, significa voltarsi dall’altra parte.